lunedì 29 giugno 2009

Jackson disperato avrebbe detto: Meglio che io muoia, sono finito

Il re del pop era malato ai polmoni, non poteva più cantare

Jackson disperato avrebbe detto: «Meglio che io muoia, sono finito»

Michael Jackson potrebbe essere morto per cause naturali, ma solo se possono essere chiamate naturali le sue condizioni culminate nello stress di un impegno che non sarebbe mai stato in grado di portare a termine. Questa è la conclusione dopo la ricostruzione della vicenda così come è proposta su MailOnline da Ian Halperin, il giornalista che segue da anni i travagli di Jackson e che, con tragica profezia, aveva scritto nel dicembre scorso che il cantante non aveva più di sei mesi di vita. «Non poteva reggere un concerto, figuriamoci 50», ha scritto Halperin. «Non poteva cantare. Certi giorni non riusciva a parlare. Non ballava più. A Londra si profilava un disastro, e secondo l’opinione di gente della sua cerchia Michael aveva propositi suicidi». Del resto, una settimana fa, a Jackson sfuggì un «meglio che io muoia, sono finito».

Erano in troppi, creditori, familiari, banchieri, impresari, e lui stesso oppresso dai debiti, a voler mungere dal suo talento i milioni che i suoi fans erano disposti a pagare per rivederlo in carne e ossa. Più ossa che carne, in verità: pesava 56 chili, capelli grigi coperti con parrucche corvine, e si reggeva in piedi con un micidiale cocktail di antidepressivi e antidolorifici: Vicodin, Dolaudil, Xanax, Zoloft, Demerol, Vistaril, Paxil, Prilosec. Gli anni passati a lottare contro le accuse di pedofilia gli avevano scosso l’equilibrio psicologico, ma contro Jackson avrebbe giocato fin dalla nascita pure una situazione genetica negativa. Una fonte vicina al cantante ha rivelato che soffriva della deficienza genetica di una proteina, la alfa-1 antitripsina (Aat), che viene prodotta nel fegato. Il ruolo principale della Aat è quello di proteggere i polmoni. Jackson, tra i tanti farmaci, ha ricevuto iniezioni regolari di Aat per anni, mantenendo una vita quasi regolare: ma le maschere respiratorie che ne hanno accompagnato l’immagine per tanto tempo, e in certi periodi l’uso della sedia a rotelle per spostarsi, sarebbero la prova di queste difficoltà polmonari crescenti. La carenza di Aat può infatti degenerare in enfisema polmonare, ossia in una dilatazione anormale e permanente degli alveoli polmonari, le cui pareti perdono elasticità. Jackson e la sua cerchia sapevano della estrema precarietà dell’impresa londinese, quindi. Non a caso alla star era stato fatto credere in un primo tempo che le serate sarebbero state 10 non 50.

La verità sulla fine di Michael Jackson in termini clinici la si avrà con i risultati delle due autopsie, l’ufficiale e la privata, voluta da familiari e amici. Il reverendo Jesse Jackson, che è da sempre vicino ai parenti della star, ha detto alla Cnn che «questo affare si è trasformato da richiesta di informazioni a indagine di polizia. Non c’è ancora pace. Non sappiamo che cosa sia successo e abbiamo bisogno di saperlo. Michael non era malato prima di giovedì». Ieri sono arrivate alla famiglia anche le condoglianze personali di Barack Obama il presidente Usa, che riteneva Jackson «una star dalla vita tragica». Ora l’ultima parola spetta agli investigatori, alle autopsie, se la seconda darà risposte bisognerà attendere il verdetto di quella del coroner, che interviene nei casi di morti sospette. Le procedure sono diverse: il medico ufficiale cerca prove per il tribunale. Tra l’altro, può intervenire sul cervello, fino a rimuoverlo e conservarlo per valutare i danni provocati anche in passato dall’uso di sostanze particolari. Le indagini del patologo privato potrebbero dare risposte non collimanti, e ciò aggiungerà dolore a un dramma che ha colpito più di tutti i tre figli di Jackson. Prince era presente nel momento in cui il papà, dopo l’iniezione fatale, è crollato sul pavimento: pensava che scherzasse. Ma presto il ragazzino ha capito, e si è impietrito nell’angoscia mentre il medico e la guardia del corpo cercavano di rianimarlo. Quando è stato chiamato il 911 dall’emergenza, erano passati minuti forse decisivi per la fine del mito.

A conferma del giallo gli agenti di Los Angeles hanno interrogato per tre ore Conrad Murray, il medico personale di Jackson. I poliziotti avevano perquisito la sua Bmw alla ricerca di tracce utili a capire le responsabilità del medico, che era stato assunto dalla Aeg Live, società per i concerti londinesi che dovevano segnare il ritorno sul palco della star. Secondo il presidente di Aeg era stato lo stesso Jackson a richiedere di poter disporre dell’assistenza di Murray, 51 anni, afro-americano padre di sei figli avuti da cinque donne, con qualche pendenza per mancati riconoscimenti di paternità e alimenti negati. Per i suoi legali Edward Chernoff e Matthew Alford, «Murray ha aiutato a ricostruire le circostanze della morte della icona del pop». Il medico continuerà a mantenersi a disposizione delle autorità, ma «non è un sospettato». Chernoff ha anche definito «assolutamente falsa» la notizia secondo cui il suo assistito avrebbe fatto alla pop star una iniezione di un potente painkiller appena prima del decesso: «Niente Demerol, niente OxyContin», ha detto il legale, aggiungendo che Murray entrò nella camera da letto di Jackson «fortuitamente» quando il cantante era già privo di coscienza «e non stava respirando. Controllate le pulsazioni, che ancora si percepivano, deboli, nell’arteria femorale, il cardiologo ha cercato di praticare la rianimazione d’urgenza».

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